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Per le donne con impieghi statali si profila l’aumento dell’età pensionabile a 65 anni

05 Mar 2009
sundance
Lavoro ed Imprese, Pensioni

Si allontana l’età pensionabile per le donne , che dovranno attendere i 65 anni come per il loro colleghi uomini. Entro il 2018 infatti uomini e donne che lavorano nel pubblico impiego infatti in pensione alla stessa età: il tetto per le lavoratrici, così come chiesto dalla commissione europea, sarà innalzato a quota 65, anche se gradualmente e a partire dal 2010.

Si tratta ancora di una proposta di legge in fase embrionale che attende il via libera di Bruxelles per poter approdare nelle aule del nostro Parlamento sotto forma di emendamento e potrebbe diventare legge entro l’estate.

La denuncia della Corte di giustizia

La denuncia di iniquità del sistema previdenziale è arrivata dalla Corte di giustizia europea che ne denunciò la discriminatorietà del regime pensionistico per i dipendenti pubblici. Pronunciandosi sulla base di un ricorso della Commissione europea i giudici di Lussemburgo hanno spiegato che “mantenendo in vigore una normativa in forza della quale i dipendenti pubblici hanno diritto a percepire la pensione di vecchiaia a età diverse a seconda che siano uomini o donne, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi di cui all’art. 141 del Trattato”. Cioè il principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e quelli di sesso femminile per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore.

Stando ad una decisione della Corte infatti sarebbe contrario al diritto comunitario stabilire due soglie di pensionabilità diverse per uomini e donne. L’attuale legislazione italiana prevede infatti per i dipendenti pubblici uomini la pensione di anzianità a 65 anni, mentre per le donne a 60.

Dopo il rimprovero della Corte di giustizia l’Italia si impegna a realizzare, in modo graduale e flessibile, l’aumento dell’età di pensionamento per le donne nel settore pubblico.

E’ quanto contenuto nella lettera che il governo ha inviato a Bruxelles. Secondo il ministro del Lavoro Sacconi la sentenza, limitata al settore pubblico (Inpdap), riguarda solo il 20% delle occupate dunque con una eventuale parificazione lo Stato italiano risparmierebbe solo 250 milioni di euro a regime. Altri calcoli parlano però, secondo il Sole 24 Ore, di risparmi da 1,3 a 1,8 miliardi anche solo portando la soglia per le lavoratrici statali da 60 a 62 anni.

Il sistema italiano

In Italia, ricorda la Corte, “i dipendenti pubblici hanno diritto alla pensione di vecchiaia nell’ambito del regime gestito dall’Inpdad alla stessa età prevista dal sistema pensionistico gestito dall’Istituto nazionale della previdenza sociale per le categorie generali di lavoratori: 60 anni per le donne e 65 per gli uomini”. Tale regime è stato considerato dall’esecutivo Ue discriminatorio e violante il principio di parità di trattamento.

In Italia la pensione viene attualmente calcolata sulla base degli anni di servizio prestati e in base all’ultimo stipendio del dipendente pubblico. Se le donne vanno in pensione cinque anni prima degli uomini – dice la Corte – le si condanna inevitabilmente a percepire una pensione inferiore.

L’Italia aveva provato a svicolare, argomentando che la fissazione di un’età diversa a seconda del sesso fosse proprio giustificata dall’obiettivo di eliminare discriminazioni a danno delle donne. La Corte non ha abboccato e ha risposto che andare in pensione prima “non compensa affatto gli svantaggi ai quali sono esposte le carriere dei dipendenti pubblici donne e non le aiuta nella loro vita professionale.

Fonte: Soldiblog.it

Corte di giustizia, denuncia, donne, emendamento, età, età pensionabile, Inpdap, lavoro, legge, parità di retribuzione, pensione, proposta di legge, pubblico impiego, sentenza, sistema previdenziale, tetto



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