Lavoro ai detenuti: l’Italia guadagnerebbe 35 milioni l’anno

In Italia vige dal 2000 la legge Smuraglia, questa prevede finanziamenti da destinare alle imprese e cooperative che accettano di assumere dei detenuti tra i loro lavoratori. A causa delle logiche di mercato, il budget che lo Stato destina a questa iniziativa si è col tempo sempre più assottigliato. Oggi, una proposta bipartisan portata in parlamento dai signori Angeli-D’Ippolito-Vitale-Farina-Pisicchio, finalizzata ad aumentare il fondo per il recupero dei detenuti, stenta ad essere approvata.

Da una politica volta al recupero sociale dei detenuti, noi cittadini italiani risparmieremo ben 35 milioni di euro l’anno.

La questione non è solo economica ma anche strettamente legata al futuro dei carcerati. Sette detenuti su dieci che escono dal carcere dopo aver scontato l’intera pena torna a delinquere, mentre soltanto il 12-19% dei reclusi che durante la pena ha avuto la possibilità di lavorare per ditte esterne al carcere, una volta fuori ha commesso nuovi reati. Il ragionamento a monte è tutt’altro che incomprensibile: il lavoro fuori dalle quattro mura della cella aiuta il carcerato a reinserirsi nella società, gli impedisce di diventare un eterno reietto e di ricadere con facilità nel baratro della malavita.

Ma come può lo Stato trarne un vantaggio economico? È presto detto, ogni ex detenuto restituito alla società comporta un esponenziale vantaggio monetario causato dai tagli sui costi dell’insicurezza: persone ferite da curare, risarcimenti, beni rubati o danneggiati, costi di polizie, magistrati, cancellieri per gli arresti e i processi. Alla cifra di 35 milioni l’anno si arriva evitando che chi ha commesso un reato possa commetterne un altro, tornando in carcere e aumentando le file dei detenuti, ognuno dei quali costa in media allo Stato 140 euro al giorno.

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