I prezzi calano, ma c’è il timore inflazione per i prossimi anni

Il timore di una forte ondata inflazionistica nei prossimi anni sta progressivamente sostituendo, almeno in molti analisti, operatori ed investitori, quello di un collasso generalizzato del sistema bancario (e quindi di conseguenza di tutta l’economia). Sono sempre più numerose infatti le previsioni di un forte aumento della crescita dei prezzi, in conseguenza sia della grande disponibilità di massa monetaria messa a disposizione delle banche centrali, sia del notevole aumento del debito dei paesi sovrani. 

In questo clima di preoccupazione, sembra a prima vista un controsenso che sia i prezzi alla produzione (PPI), che quelli al consumo (CPI) siano in Europa in terreno negativo (nel caso del CPI per la prima volta dalla nascita dell’euro). 

Il grafico (clicca qui) mostra l’andamento dei due indici (PPI e CPI), rispetto alle aspettative di inflazione media dei prossimi cinque anni, rappresentati dal valore dell’”inflation swap” per questa scadenza. Come si può notare, dal 2004 ad oggi, l’andamento delle aspettative è stato sempre abbastanza correlato con gli indici di inflazione. Soprattutto nel caso del CPI inoltre, la correlazione è stata notevole non solo dal punto di vista della direzione del movimento, ma anche da quello dell’ampiezza delle oscillazioni. A partire da fine 2007 tuttavia, i due indici dei prezzi hanno cominciato a subire oscillazioni decisamente violente, amplificando in maniera significativa le differenze di valore assoluto.

A fine 2008 poi, un’ulteriore divergenza sembra essersi affermata in maniera molto decisa. A partire da novembre infatti, a fronte di rilevazioni che indicavano un costante calo dell’inflazione (sia dei prezzi all’ingrosso che al dettaglio), se non addirittura una situazione di deflazione (effettiva sul PPI da dicembre 2009 e sul CPI da questo mese), le aspettative sull’inflazione media dei prossimi cinque anni hanno cominciato a crescere in maniera abbastanza decisa, attestandosi recentemente su valori vicini al 2%. 

Come mostra il grafico, da fine 2008 il differenziale tra il tasso di inflazione effettivo e quello atteso per i successivi cinque anni, è andato da +1.50% circa a -2,1% circa, più che ribaltando il movimento a rialzo tra fine 2007 e fine 2008. Dal crollo di questo differenziale, è evidente quindi che i mercati stano incorporando aspettative di inflazione che, data una media attesa del 2% per i prossimi 5 anni ed un valore attuale vicino allo zero, in alcuni dei prossimi cinque anni dovrebbe raggiungere valori decisamente superiori alla media (almeno tra il 3% e il 4%). E’ evidente inoltre che se queste aspettative dovessero prima o poi concretizzarsi, ciò implicherebbe probabilmente notevoli correzioni nel valore dei titoli a tasso fisso a lunga scadenza.

Per contro, se invece le aspettative di un’”esplosione” dell’inflazione dovessero risultare eccessive, se non addirittura senza fondamento, sarebbero i titoli di tipo “inflation linked” a soffrire, sia in termini assoluti, sia (soprattutto) relativamente al reddito fisso. 

In conclusione, ci sembra importante sottolineare che, pur senza sottovalutare il timore di un forte aumento dell’inflazione, il progressivo calo del differenziale tra tasso effettivo e tasso atteso, rappresenta un elemento che, in generale, migliora le prospettive delle obbligazioni a reddito fisso. A parità di altre condizioni infatti, più questo valore risulta negativo maggiori potranno essere gli aumenti di inflazione che non avranno effetti significativi sui prezzi dei bond (in quanto per l’appunto già scontati dal mercato).

Fonte: Repubblica.it

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