Focus sulle pensioni

È al vaglio del governo una trattativa riguardante le pensioni. È necessaria, infatti, una riforma strutturale del piano previdenziale degli Italiani che si accingono a ritirarsi dal lavoro e dal sistema retributivo\contributivo per entrare nel solo sistema di assistenza alla vecchiaia.

 

 

 

Ma spesso, al momento di ritirarsi dal lavoro o già prima, dal momento in cui si iniziano a pagare i contributi previdenziali per la pensione di anzianità, non si ha ben chiaro qual è il sistema vigente e di conseguenza non si ha la necessaria conoscenza di ciò cui si va incontro negli anni.

Attualmente, in Italia sono previsti diversi sistemi pensionistici.
Il primo è il sistema retributivo.

A tale sistema appartengono le pensioni di anzianità richieste dagli uomini e le donne – dopo la recente riformulazione legislativa – che abbiano compiuto i 65 anni di età e maturato almeno 20 anni d contributi. Ci sono poi alcune eccezioni, che riguardano coloro che già nel 2007 avevano maturato 15 anni di contributi; che possedevano già l’età minima richiesta per il pensionamento alla stessa data; che avevano già maturato contributi volontari sempre alla stessa data oppure che possedevano anche un minimo di 52 anni ma che avevano versato regolari contributi di occupazione per 10 anni e ne possedevano almeno 25 di assicurazione.

In Italia esiste anche un sistema misto, altrimenti detto “Pro-rata”. Tale sistema previdenziale prevede che si contemplino per il calcolo della pensione sia gli anni di anzianità lavorativa sia l’entità dei contributi versati entro il 2007: è a cavallo fra il sistema retributivo e quello contributivo che verrà a seguire. Tale sistema è però residuale: ovvero, verranno esauriti i lavoratori già iscritti precedentemente a tale sistema (precedente alla riforma Dini) senza possibilità che nuovi vi prendano parte. È possibile anche effettuare una conversione da questo sistema a quello retributivo semplice, ma non il contrario.

Infine, vi è il sistema contributivo, attualmente più diffuso tra i lavoratori. Tale sistema prevede la sparizione delle aliquote al 2% o inferiori, e le conseguenti annualità in base alle quali effettuare il calcolo dell’entità dell’assegno pensionistico; si prevede, invece, una somma relativa solo all’entità dei contributi versati durante gli annidi lavoro, slegandola dallo stipendio. È un po’ quello che già avviene con le assicurazioni stipulate privatamente, dove sono considerate solo le somme versate. Ovviamente, con tale sistema più si versano contributi più si avrà una pensione elevata. Se da un lato è positivo per il singolo lavoratore, può essere a svantaggio dei lavoratori che non possiedono i mezzi finanziari necessari per mettere in sicurezza la propria vecchiaia. E con le nuove tipologie di lavoro, questo sembra più che un rischio o una possibilità, la terribile certezza. Non solo: con tale sistema, in media si deve lavorare per qualche anno in più, partendo da un minimo di 7 anni extra a quanti ne erano previsti e necessari in precedenza.

Esiste poi il TFR, ovvero il Trattamento di Fine Rapporto. Questo è un sistema che prevede una trattenuta effettuata dal datore di lavoro direttamente nella busta paga del lavoratore. Al momento del pensionamento, le somme trattenute verranno rilasciate al neopensionato sotto forma di assegno previdenziale. Insomma, un sistema che prevede direttamente una relazione con il proprio lavoro. vien da sé che tali trattenute sono più elevate quanto più è sostanzioso lo stipendio. E di nuovo ci potrebbe essere una discriminazione riguardante i vari tipi di lavoratori e di contratti. In più, c’è una disparità relativa al lavoro pubblico e quello privato. Nel secondo, infatti, il TFR è calcolato in base alla retribuzione lorda: di conseguenza, è più elevato rispetto al TFR del settore pubblico, dove è calcolato in base all’80% dell’ultimo stipendio percepito e ponderato insieme agli anni di lavoro. a scelta del lavoratore, tale TFR può essere deviato verso pensioni assicurative private e fondi pensione.

 

Fonte: Prestitoblog.it

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