“Capitali scudati”, la tassa convince tutti

Al di là del fatto che per la manovra economica del governo sino a quando non diverrà legge vale tutto e il suo contrario, uno dei passaggi sui quali maggioranza e opposizione potrebbero trovare una convergenza è quella della tassazione sui cosiddetti ‘capitali scudati’.

Proposta avanzata in primis dal segretario Pd Bersani e raccolta anche da molti nel Pdl e nella Lega.

In pratica di configurerebbe come una tassa ‘una tantum’ su quei capitali che in passato molti contribuenti italiani hanno portato all’estero e per i quali due anni fa il ministro Tremonti propose un patto sotto forma di salvacondotto fiscale (ossia lo ‘scudo’) se fossero stati dichiarati ufficialmente così da essere poi tassabili. Allora vennero calcolati in circa 97 miliardi di capitali illegali, per la maggior parte in Svizzera tra obbligazioni, fondi e azioni. Quasi 40 vennero riportati in Itala, ma almeno 57,6 miliardi secondo le stime di Banca d’Italia sono rimasti all’estero.

Ecco perché la tassa consentirebbe di recuperare una bella cifra, vicina ai 15 miliardi (anche se il Pdl sarebbe più propenso solo ad un 2% che farebbe incassare poco meno di 2 miliardi) da destinare alla ripresa economica e investire soprattutto nel lavoro, anche se il dibattito resta aperto.

Se il presidente Berlusconi dalla Sardegna ha fatto sapere di non aver ancora letto la proposta e quindi di doverla valutare, il ministro Tremonti sta valutando se la legge non possa avere una base incostituzionale visto che si tratterebbe di un provvedimento aggiuntivo allo ‘scudo’. Anche perché allora i contribuenti che aderirono firmarono una liberatoria per versare solo il 5% del loro valore finito in tasse.

Quindi resta difficile ritassare quei 40 miliardi già rientrati nel 2009 mentre sarebbe fattibile per gli altri (c’è chi li stima anche in 150 miliardi). Ma soprattutto secondo molti esperti del settore potrebbe essere finalmente il momento buono per avviare un’indagine complessiva sui soldi che gli italiani fanno sparire all’estero e per disincentivare queste pratiche nel futuro alla luce di una trasparenza finanziaria che in Italia è ben lungi dall’essere reale.

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