Tfr in busta paga, la proposta divide

Tredici miliardi di euro.
E’ la cifra che nel 2010 i lavoratori dipendenti hanno lasciato alle loro aziende complessivamente come quota per il Tfr.

Ed è questa la cifra da prendere quindi in considerazione ora che il governo ha allo studio la possibilità di farne versare direttamente nella busta paga il corrispettivo mensile.

 Una “sorpresa” della quale per primo aveva parlato nei giorni scorsi Umberto Bossi e che nelle ultime ore sta suscitando commenti opposti, soprattutto quelli negativi dei sindacati. All’atto pratico, considerato che l’accantonamento mensile per la liquidazione è pari a circa il 7% dello stipendio lordo, significa praticamente avere a disposizione ogni anno una quattordicesima in più per quelli che già la prendono, o una vera per chi non ne sia interessato.

Una riforma nell’ottica della maggiore circolazione di denaro direttamente nelle tasche dei cittadini e quindi automaticamente di un maggiore flusso negli acquisti. Una riforma che peraltro al momento è ancora in fieri, tanto che non è assolutamente chiaro ad esempio se al diretto interessato convenga spalmare questi soldi su tutte le buste paga annuali oppure concentrarlo in un’unica soluzione e soprattutto come potranno affrontare questi costi aggiuntivi le imprese sotto i 50 dipendenti che ovviamente hanno anche meno liquidità. Una delle soluzioni previste può essere un accordo preventivo con la Cassa Depositi-Prestiti o direttamente con l’Abi.

Questo ovviamente vale o varrà per quello che sarà da qui al futuro. Ma quello che è stato nel passato e nel presente non può essere modificato nemmeno da una legge. Stiamo parlando di oltre cinque milioni di lavoratori che hanno optato per il trasferimento del proprio Tfr alla previdenza complementare attraverso i vari fondi e piani individuali previdenziali che solo nel 2010 hanno accumulato 5,1 miliardi. Altri 5,7 miliardi sono invece arrivati al fondo di Tesoreria gestito direttamente dall’Inps, dove viene raccolto il Tfr maturato dai lavoratori di imprese con più di 50 dipendenti che hanno optato per mantenere il Tfr anziché darlo ai fondi. E ancora ci sono 41mila lavoratori che non hanno fatto alcuna scelta di destinazione e che lavorano in aziende non aderenti contrattualmente ad alcun fondo complementare (in questo caso i soldi finiscono direttamente all’Inps).

Il nodo di fondo resta dunque quello della copertura, perché significherebbe ad esempio per i dipendenti pubblici un esborso da parte dello Stato di almeno una ventina di miliardi. Quasi metà della manovra economica, mica uno scherzo.

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