Bilancio Inps 2009 in positivo di 5,9 miliardi

Martedì 8 settembre il consiglio di indirizzo e vigilanza dell’Inps, designato dalle associazioni sindacali e imprenditoriali, approverà le nuove previsioni di bilancio del 2009. La buona notizia è che, nonostante la grave recessione, l’Istituto nazionale della previdenza sociale guadagnerà 5,9 miliardi di euro, il doppio di quanto messo a budget meno di 9 mesi prima.

Il risultato sorprenderà molto chi ritiene la previdenza pubblica soltanto un carrozzone inefficiente, meno chi ha presente l’apporto degli immigrati, il graduale recupero dell’evasione contributiva e l’aumento dei contributi che, nel 2009, riguarda i datori di lavoro agricoli e i precari, il cui costo va ormai per un quarto alla gestione separata Inps.

La cattiva notizia è che nemmeno questo bilancio convincerà la Ragioneria generale dello Stato a modificare le sue pessimistiche previsioni sul lungo periodo: dal 14,2% del Prodotto interno lordo per il 2008, la spesa pensionistica effettuata dall’Inps e dalle altre casse minori, risalirà fino al 15,8% del Pil nel 2039 per poi ridiscendere gradualmente sotto il 14% dopo il 2050. Si creerà, insomma, una gobba tale da comportare un incremento rilevante della già rilevante contribuzione, pari al 33% del salario lordo a carico di imprese e dipendenti, o il taglio delle prestazioni. Ma è davvero una notizia tanto certa e preoccupante questa gobba? Ed è una notizia così rassicurante l’utile dell’Inps?

Il 2009 non è un unicum. Nel 2008 l’Inps aveva chiuso il conto economico con un utile di 6,8 miliardi, lo stesso nel 2007. Il patrimonio netto dell’Istituto è positivo per 45 miliardi. Il 2006 era stato un anno meno buono. La ripresa è stata innescata dal ritocco delle aliquote contributive deciso dal governo Prodi e confermato dal governo Berlusconi e dall’allargamento della platea dei contribuenti in seguito sia alla crescita dell’occupazione, soprattutto di immigrati (150 mila iscritti all’Inps accertati in più nel 2008), che alla lotta all’evasione (individuate 19 mila aziende e autonomi in nero e 68 mila lavoratori sconosciuti all’Inps, che reclamerà ora 1,5 miliardi di euro).

Nel 2008, l’Inps è costato 3,6 miliardi l’anno, dei quali 2,1 per retribuzioni, formazione e altre spese destinate ai 29.500 dipendenti. La sua macchina organizzativa ha accertato contributi in capo a 19 milioni e 295 mila lavoratori dipendenti e autonomi e ha erogato 18 milioni e 608 mila pensioni. Nei conti dell’Istituto sono così entrati 162,8 miliardi e ne sono usciti 151, oltre alle spese di funzionamento. L’affluenza dei contributi non è sempre immediata e pacifica. L’Inps dichiara crediti rilevanti (30 miliardi al netto del fondo di svalutazione) e un vasto contenzioso (427 mila cause senza contare quelle sull’invalidità). Sarebbe interessate sapere quanto ne risenta il valore reale dei crediti. Allo stesso modo sarebbe meglio se il consiglio di amministrazione, presieduto da Antonio Mastrapasqua, desse ragguagli, magari nei conti d’ordine, sugli impegni futuri verso i pensionati e di quelli dei contribuenti verso l’Istituto. La buona notizia, dunque, non lascia del tutto tranquilli, ma alla fine l’utile c’è. E allora diventa interessante verificare se tutti vi concorrano in misura simile o se, accanto a categorie virtuose, ve ne siano di assistite.

L’Inps gestisce un certo numero di fondi previdenziali. Il maggiore è quello dei lavoratori dipendenti, 13 milioni di iscritti e 10,3 milioni di pensioni per 110 miliardi di erogato. Ebbene, questo fondo ha un utile di 2,4 miliardi che è la somma algebrica di un risultato molto forte dei lavoratori dipendenti normali (9,2 miliardi) e delle perdite per 6,8 miliardi accumulate dai fondi dei dipendenti protetti degli ex monopoli pubblici (Enel, Telecom, trasporti locali) e dei dirigenti d’azienda, tutti destinati a peggiorare. Il fondo dei dipendenti normali, in verità, è reso forte dagli avanzi delle contribuzioni per cassa integrazione e altre prestazioni temporanee che potranno essere sottoposte a dura prova con la recessione. In realtà, il fondo che maggiormente contribuisce ai conti dell’Inps è quello dei precari o, come si dice in gergo, dei parasubordinati: essendo nuovo, incassa e non spende. Nel 2008 il suo utile è stato di 8,2 miliardi. Chi conta invece sulla solidarietà sono soprattutto coltivatori diretti (meno 5 miliardi) e artigiani (meno 3,7 miliardi). E, curiosamente, il fondo del clero (14.600 pensioni destinate non solo ai ministri del culto cattolici ma anche a quelli delle altre religioni) va in rosso per 115 milioni non certo per l’entità del trattamento ma per l’insufficienza della contribuzione.

Queste sperequazioni andrebbero corrette. Magari nell’ambito del consiglio di indirizzo, che è l’assemblea degli azionisti di fatto dell’Inps ed è presieduto da Guido Abbadessa, un ex dirigente della Cgil. Si eviterebbe il sospetto che i conservatori di tutte le parti stiano coprendo le collusioni del passato— per esempio la presa in carico del fondo dei dirigenti, a suo tempo privato e troppo generoso — per impedire l’evoluzione dell’Istituto verso una distinzione seria e profonda di previdenza e assistenza. Cosa meno pacifica di quanto sembra anche tra i sindacati che pure la reclamano.

L’Inps ha un bilancio più grande di quello che abbiamo analizzato fin qui. Lo Stato gli affida anche le pensioni sociali, le integrazioni al minimo delle pensioni inferiori alla sociale, le pensioni di invalidità, prestazioni assistenziali non coperte da contributi ma da versamenti che il Tesoro fa all’Inps. Queste altre erogazioni — 58 miliardi nel 2008 — sono una partita di giro che non influenza il risultato, ma ha l’effetto collaterale di aumentare fino a 220 miliardi la spesa pensionistica su cui fanno i loro terribili conti la Ragioneria, l’Ocse e la Commissione europea.

Accade così che l’Italia mostri una spesa pensionistica, sostenuta Inps, Inpdap, Enpals e da altri enti minori, superiore alla media europea. Nel 2006, risultava pari al 14,7% del Pil contro il 12,1%. Ma, come notano Maurizio Franzini ed Elena Granaglia, dell’Università La Sapienza di Roma, il dato italiano è al lordo dell’imposizione fiscale, mentre in parecchi altri paesi è al netto e somma le pensioni all’assistenza, che affronta problemi sociali altrove risolti con altre forme di spesa pubblica. Michele Raitano, studioso del welfare che contribuisce al Rapporto sullo Stato sociale, nota che, confrontando le spese sociali europee globali (pensioni, sanità, lotta alla disoccupazione e all’esclusione), quella italiana è pari al 26,5% del Pil contro una media Ue del 27,5%, all’interno della quale spiccano le spese sociali della Germania (31,1% del Pil) e della Francia (28,7%).

L’eccesso di spesa pensionistica è abbastanza dubbio se quella delle gestioni previdenziali dell’Inps, che non è tutto ma è moltissimo, è pari al 9,89% del Pil e scende addirittura all’8.15% al netto di alcuni obblighi imposti dallo Stato. E non è vangelo nemmeno la famosa gobba prevista nella fase finale del trapasso tra l’attuale regime retributivo e quello contributivo secondo la riforma Dini. Non solo per ragioni politiche (una società che invecchia può decidere di dedicare un po’ di più alle pensioni e un po’ meno ad altro), ma anche perché gli economisti si basano su presunzioni del futuro per definizione opinabili. Le proiezioni demografiche di Eurostat, poste a base degli allarmi sulla gobba, considerano un flusso netto annuo di 150 mila immigrati. E’ realistico? Basterebbe alzare un po’ il flusso presunto e la gobba sparirebbe, come si legge nel Rapporto sullo Stato sociale 2007 curato da Felice Roberto Pizzuti. Lo stesso Giuliano Cazzola, ex sindacalista Cgil ora deputato Pdl con una lunga esperienza in materia previdenziale, scrive sul Sole 24 Ore che gli immigrati sono una risorsa strategica.

L’allarme della Ragioneria, dunque, è una notizia cattiva ma non letale. Del resto, con il passaggio al sistema contributivo il bilancio dell’Inps sarà messo in sicurezza: la percentuale del Pil da destinare alle pensioni diventerà stabile e la fetta di ciascuno dipenderà dall’anzianità contributiva e dalla rivalutazione che verrà dalla crescita del Pil: se l’Italia ristagnerà e invecchierà, la gente andrà in pensione dopo senza bisogno che glielo imponga la legge.

Fonte: Corriere.it

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